Perché uscire da una crisi aziendale fa paura?

Con il termine turnaround si intende un cambio di rotta, un cambiamento reale per uscire da una crisi aziendale, attivato grazie a meccanismi profondi e complessi. Per analizzare questa tematica abbiamo chiesto l’intervento della Dott.ssa Roberta Giorgetti, HR trainer & consultant organizzativo, specializzata nella crescita delle persone e nello sviluppo organizzativo e, in particolare, nel guidare le persone lungo il percorso di cambiamento.

Cambiamento e paura: come uscire dalla crisi aziendale vedendo le opportunità?

Roberta Giorgetti sottolinea innanzitutto come spesso il cambiamento venga vissuto come una situazione non desiderata e per questo è necessario supportarle perché metabolizzino e trovino in esso vantaggi e opportunità. In questo modo saranno portate ad aderire al progetto organizzativo, allineandosi agli obiettivi e condividendone le ragioni, per capire meglio come cambierà il loro lavoro in azienda. Una delle leve per far comprendere alle risorse il valore positivo del cambiamento che stanno vivendo è definire ruoli chiari in cui possano riconoscersi e promuovere la formazione e l’informazione all’interno dell’organizzazione.

È fondamentale che passi il concetto di cambiamento come qualcosa di naturale, non necessariamente legato a una crisi aziendale, ma come un processo necessario all’evoluzione continua delle organizzazioni e delle risorse. L’organizzazione deve quindi essere in continua ricerca di un’omeostasi, cioè di quell’equilibrio che si raggiunge tramite meccanismi di autoregolazione per conservare le proprie caratteristiche laddove lo scenario esterno si modifica. Per un’azienda cambiare significa rimanere in vita.

Organizzazioni in cui il cambiamento viene ostacolato: perché accade?

Spesso le persone che fanno parte di un’organizzazione soggetta al cambiamento non abbracciano questa situazione con favore. Si tratta di ambienti in cui le risorse non sono stimolate a mettersi in discussione e quindi tendono a difendere il proprio territorio e le proprie idee chiudendosi in un atteggiamento passivo autoreferenziale che fa riferimento solo alle proprie esperienze personali.

Ci sono invece aziende in cui si intravede un approccio manageriale che prevede l’analisi e la condivisione di dati e di report, con un atteggiamento quindi più oggettivo e meno autoreferenziale, ma che spesso trascura l’aspetto emotivo.

Ci sono poi, ancora, ambienti in cui si sviluppa un ascolto empatico e si mostra una capacità di interagire con gli altri, una sana curiosità che sprona a conoscere e valutare il punto di vista dell’altro, ma che hanno bisogno di un intervento esterno per concretizzare il cambiamento, che in questi casi può avvenire più velocemente rispetto ad altri ambienti.

Infine, ci sono le organizzazioni in cui c’è una fiducia reciproca talmente sviluppata per cui i gruppi sono proiettati naturalmente al futuro e al cambiamento con creatività, senso di leadership, e competenze trasversali importanti.

Crisi aziendale e cambiamento: sforzo e paura o vantaggi e soddisfazioni?

Il primo sforzo è quello di creare delle condizioni tali che permettano alle persone di elaborare e accettare il cambiamento con un approccio win-win che metta in evidenza i vantaggi del cambiamento stesso. Per far sì che le organizzazioni evolvano è importante che siano le persone a cambiare, a reagire in modo positivo alle variazioni. Sicuramente questo processo richiede fatica, motivo per cui spesso non è visto di buon occhio, e impegno per uscire dagli automatismi consolidati nel tempo che vengono ormai messi in pratica senza difficoltà e senza che le persone si mettano ogni volta in discussione. Le domande interiori che ricorrono sono, ad esempio: “sarò ancora in grado di rivestire questo ruolo dopo il cambiamento?”, “sarò ancora stimato dai miei colleghi e considerato il punto di riferimento?”, “perché a 50 anni devo rimettere in discussione il mio modo di lavorare ricominciando da capo e imparando di nuovo?”.

Si generano quindi dei blocchi che ostacolano il cambiamento, soprattutto quando queste resistenze restano sottotraccia e non vengono espresse in modo esplicito a chi si sta occupando del turnaround in azienda, generando situazioni di forte stress e insoddisfazione che impediscono la nascita di scenari creativi e innovativi.

Quando le persone non vedono il miglioramento si adotta tendenzialmente una logica di scarsità e di paralisi che porta a dare il peggio, quindi è importante passare da una visione di difesa di sé stessi e del proprio territorio a un ambiente in cui le persone si sentano rassicurate (sicurezza psicologica). E’ importante favorire una cultura che accetta il rischio ma anche la possibilità di sbagliare e che mette le persone di fronte alla responsabilizzazione, passando da una posizione di passività a una posizione di presa di responsabilità in cui il singolo punto di vista viene ascoltato e considerato come un contributo che arricchisce la strategia con suggerimenti operativi interessanti. Il cambiamento viene maggiormente accettato se elaborato in gruppo, per creare spazio a nuove opportunità di costruzione.

Il cambiamento aziendale parte dalla volontà dell’imprenditore: dovrebbe quindi cambiare lui per primo?

L’imprenditore, per definizione, è colui che ha visione, che vede delle opportunità nel mercato laddove altri ancora non sono arrivati. Capita che il sogno a cui l’imprenditore è legato diventa preponderante rispetto ai cambiamenti che dovrebebro intervenire nell’organizzazione e questo può generare scenari problematici e delicati legati alla maturità psicologica dell’imprenditore che deve sapersi affidare a persone che condividono punti di vista differenti e mantenere con loro un contatto costante sul dove si è e sul dove si vuole andare.

È fondamentale che la volontà del cambiamento parta quindi dall’alto perché il gruppo continuerà ad affidarsi alla persona che fino a quel momento li ha portati al successo seguendo la cultura organizzativa che ha assimilato, identificandosi nei valori conosciuti. L’imprenditore non deve rimanere ancorato alla proprie convinzioni e quindi fare un lavoro personale di autocritica di tipo generativo per creare nuove possibilità. Il coraggio del cambiamento nasce quindi anche dalla presa di coscienza delle proprie debolezze.

Come si concilia la necessità di cambiare l’organizzazione con quella dell’imprenditore?

Consideriamo l’organizzazione come una creatura, un figlio. L’imprenditore/padre non deve soffocare l’organizzazione/figlio. I figli dipendono dai genitori fino ad un certo punto, poi è necessario lasciare degli spazi altrimenti il figlio viene depotenziato, perde vigore ed energia ed autostima. Di fatto quando arriva alla maturità il figlio/organizzazione ha una sua strada e percorso che può essere diversa da quella del genitore. Questo vale anche per l’organizzazione.

In situazione di emergenza e di grave crisi il cambiamento diventa urgente: come gestire questo processo?

Innanzitutto, è importante definire dove siamo e dove vogliamo andare, quindi avere ben chiaro quali possono essere i cambiamenti necessari e come realizzarli, cioè creando un piano preciso. Dopodiché occorre raccontarlo all’organizzazione con uno storytelling semplice, comprensibile e rassicurante. Da una parte quindi gli strumenti necessari sono l’avere un percorso e il rassicurare, dall’altra occorre mettere in campo gli investimenti e le risorse.

Nelle ristrutturazioni aziendali ci sono sicuramente anche delle decisioni difficili da prendere e quando la visione dell’imprenditore non è più così nitida, la capacità di affidarsi a persone che per esperienza, in contesti differenti, hanno già vissuto certe situazioni, accelera il processo di cambiamento ed è quindi un atto di intelligenza e anche un investimento che evita di “andare per tentativi” con elevati rischi di sbagliare. E’ anche un risparmio economico perché l’organizzazione ha bisogno di competenze nuove specifiche per un tempo ridotto.

Un altro aspetto delicato riguarda il fatto di prendere decisioni difficili che potrebbero essere visti come un “tradimento della famiglia”. Anche in questo caso è fondamentale affidarsi a qualcuno che con lucidità, distacco e in modo chirurgico pratichi delle operazioni che possono asportare un “organo” per salvare tutto il sistema. Farlo da dentro diventa difficile e doloroso quindi va concertata una modalità che possa reggere e funzionare. Il temporary manager è la figura che agisce in questi contesti e per questo potrebbe essere vista come la persona con poco cuore. Ma come sempre c’è modo e modo di intervenire: è realmente successo che persone licenziate ringraziassero per la maniera in cui è stata gestita la situazione.

Tre consigli da dare agli imprenditori che vogliono attivare un cambiamento aziendale

  1. Ci vuole un giusto mind set: un’azienda è come un figlio, ha le sue necessità e ha bisogno della sua vitalità e autonomia per esprimere sé stessa al di là dell’imprenditore.
  2. Avere le persone giuste nei posti giusti, quindi occorre creare una cultura del merito e delle competenze tecnico relazionali misurabili e monitorabili investendo in chiarezza dei ruoli e sistema di valutazione.
  3. Abituare l’organizzazione alla comunicazione interna e alla collaborazione: riunioni strategiche e comunicazione tra reparti è fondamentale per mettere insieme le persone affinché si conoscano.

Uscire da una crisi significa attivare un cambiamento: difficile, spesso doloroso e delicato.

Affidandosi ai professionisti del turnaround questo passaggio diventa meno complesso, più strutturato e sicuramente strategico.

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