- 3 Aprile 2020
- Postato da: lauracascone
- Categoria: News

Il Corona virus sta mettendo a dura prova le imprese. A cosa serve un piano B? Come si costruisce? Quante aziende lo hanno?
In questa intervista a RADIO IT rispondiamo ad alcune domande.
Jimmy Clarini Fondatore e amministratore unico di Entriage è stato intervistato da RADIO IT nella rubrica management che ospita interviste e temi legati all’organizzazione aziendale, e si è soffermato sul turnaround management, sulla crisi d’impresa e su come strutturare un piano B per uscire da una situazione di crisi aziendale.
Potete riascoltare il podcast qui
Oppure trovate il testo integrale dell’intervista sotto!
I: Siamo con Jimmy Clarini, fondatore e amministratore di Entriage, società di specialisti anti-crisi aziendale, cosiddetti Specialisti in Turnaround Management
In cosa consiste il Turnaround Management?
J: Turnaround significa “giravolta” ma meglio pensare ad un “giro di boa” –e nel mondo aziendale si tratta di un insieme di attività tattiche e strategiche per fare cambiare rotta ad un’azienda che si trova in difficoltà.
E’ una disciplina che ha dei protocolli di intervento e delle metodologie molto specifiche sia per la parte industriale che finanziaria.
Secondo Cerved ci sono 15% delle aziende a rischio e 25% vulnerabili, prima di COVID-19. Avete qualche numero aggiornato?
Questi dati si riferiscono ai bilanci 2018 ma sostanzialmente è un dato stabile da diversi anni. Quello che è interessante ma anche drammatico sono le simulazioni che la stessa Cerved ha realizzato con 2 scenari possibili. Uno soft (con 3 mesi di problemi) ed uno Hard (oltre i 3 mesi). Nel caso soft le aziende a rischio raddoppiano (passano al 30%) ma sostanzialmente tutte le aziende “peggiorano” e quelle che già stavano male prima, per loro potrebbe essere il colpo finale, per altre da condizioni di debolezza passano in situazione di serie difficoltà.
I: Naturalmente ci saranno settori più colpiti ed altri meno.
Cosa dovrebbe fare in questi casi un’azienda?
J: Così come Cerved ed altri istituti hanno ipotizzato questi scenari macro, anche la singola azienda dovrebbe impostare dei propri scenari. Non si tratta di tirare i dadi ma fare alcune ipotesi e prefigurarsi come gli attuali eventi negativi impatteranno sul conto economico e finanziario. Si tratta di una competenza manageriale di pianificazione. Per esempio ipotizzare uno scenario “soft” di calo ricavi del 10% ed uno “hard” del 30%, fare ipotesi su incassi ritardati di 60 giorni o addirittura 90, e così su tutte le altre variabili specifiche (magazzino, banche, durata, ecc) per arrivare a comprenderne gli effetti finanziari..
I: E con questi scenari cosa se ne fa l’azienda?
J: Intanto c’è consapevolezza della dimensione potenziale delle perdite e dell’esigenza finanziaria (cash flow). E da lì, su questi scenari l’azienda costruisce il suo Piano B (ma anche C e D) ossia quell’insieme di idee e decisioni alternative alla “normale gestione” (Piano A) che portano a ridurre gli effetti negativi. Parlando di “Turnaround” si tratta di cambiamenti più o meno forti su aspetti organizzativi, industriali e di processo ma anche su tutti gli aspetti finanziari.
Il lavoro di team e il senso di urgenza e di concreta esecuzione devono guidare queste decisioni che è tipico dell’intervento dei Turnaround Manager.
I: Nel piano B ci possono stare anche gli aiuti del governo? E ovviamente non potranno durare in eterno.
Dei primi aiuti del governo sono già noti, soprattutto in ambito bancario e per la cassa integrazione per esempio. Altri ne arriveranno ma il Piano B non può basarsi solo sugli aiuti del Governo che tra l’altro sono sempre un po’ incerti nei loro tempi di esecuzione, anzi direi che il Piano B dovrebbe farsi proprio senza pensare agli aiuti del governo ma considerare solo decisioni implementabili autonomamente e con un cronoprogramma certo.
I: Avete una percezione – o un numero – di quante aziende abbiano effettivamente un piano B?
J: Il concetto di Piano B è insito in tutti gli interventi di Turnaround ossia in quelle situazioni in cui tutto e straordinario, sia i problemi che le soluzioni. Siccome non sei certo che vadano a buon fine è necessario avere pronte delle alternative valutando sempre i pro e i contro.
Il Piano B (C e D) esiste però se esiste un Piano A ed idealmente in condizioni normali questo è rappresentato da un budget economico e finanziario su base mensile. Posso dirti che già sono poche quelle che hanno il Piano A, figuriamoci il piano B…prevale ancora l’intuizione e la creatività che purtroppo sono nemiche della prevenzione della salute aziendale
Parlando di prevenzione, c’è una nuova normativa che obbliga tutte le aziende ad avere un adeguato assetto organizzativo e contabile. Di cosa si tratta?
Si, è previsto dall’art. 2086 del nuovo codice della crisi d’impresa entrato in vigore l’anno scorso e che obbliga tutte le imprese ad avere un sistema che permetta di misurare alcuni indicatori ed anticipare i rischi di una crisi d’impresa per evitare segnalazioni di allerta e commissariamento. E questo si può fare appunto con un budget e con il controllo di gestione.
I: In tutto questo come la tecnologia può aiutarle?
J: Sul fronte della pianificazione economico-finanziaria esistono sul mercato tanti software che permettono elaborazioni e simulazioni di scenari che una volta si faceva con excel.
Questi sistemi hanno anche un po’ di algoritmi/IA che aiutano ad individuare subito le criticità dell’azienda.
Anche sul fronte del controllo di gestione ci sono sistemi sempre più “plug & play” che riducono i tempi di implementazione ed evitano lungi e costosi processi di implementazione.
Naturalmente servono le competenze.
Sono tutti sistemi che usiamo per fare il nostro mestiere.
Poi, se parliamo di Turnaround industriale, va da sé che entriamo nel merito dei processi aziendali e per migliorarli ci sono ampie possibilità di facilitazione del cambiamento con la tecnologia.