Imprenditori di seconda generazione: la storia di Marcello dalla crisi alla rinascita

Abbiamo il piacere di condividere la storia di Marcello, tratta dal libro “Il potere della crisi” di Marco Greggio, un libro che racconta il mondo della crisi aziendale e che si sofferma soprattutto sugli aspetti emotivi e personali della materia. Quello che però preme all’autore è sottolineare e testimoniare che il più delle volte da una crisi, che arriva purtroppo prima o poi per tutte le aziende, si può rinascere più forti e competitivi.
Noi di Entriage, come specialisti in turnaround management e in crisi d’impresa, siamo lieti di poter divulgare alcune pagine del suo libro, per diffondere testimonianza che con le giuste soluzioni si può uscire vittoriosi anche da una situazione che sembra persa.

il potere della crisi di marco greggio

La storia che segue è quella delle più tipiche: un imprenditore di seconda generazione, Marcello, che dopo il ritiro del padre, il fondatore, prende in mano le redini dell’azienda di famiglia proprio in concomitanza di una crisi globale.

Buona lettura.

L’insostenibile leggerezza della seconda generazione

Marcello è socio di maggioranza di un’azienda specializzata nella produzione di carpenteria metallica per conto terzi nata ad inizio anni Ottanta. È un imprenditore di seconda generazione: il padre si “era fatto da solo”. Era capofabbrica, poi ha rilevato la società per cui lavorava, ampliando il parco clienti. La sua vita è la sua fabbrica.
Già da quando aveva 13 anni – frequentava la scuola media
– bazzicava nel reparto produttivo, per aiutare il padre. Insomma, la classica storia aziendale veneta, ma non solo.
A 19 anni fui assunto come dipendente nel reparto produttivo, dove persi quasi subito la mia prima unghia utilizzando una pressa. Quelle di una volta. Secondo il gergo del carpentiere, mi si è ‘incarnato il lavoro’”. Quasi un rito di iniziazione all’età adulta.
Dopo qualche mese venni chiamato per l’anno di leva e ho fatto il corso allievi ufficiali di complemento, con un servizio di 15 mesi come sottotenente: era il mio sogno”. Ma doveva tornare all’azienda di famiglia. C’era la tradizione da continuare. Un’azienda che cresceva da portare avanti.
A 29 anni il padre gli cedette tutte le quote e si dimise dalla carica di amministratore. Al tempo tutto era facile: i fatturati aumentavano, l’azienda viveva in una sorta di bolla positiva. “Il mio battesimo di fuoco l’ho avuto però nel momento della crisi economica. Mi ricordo esattamente quando arrivò in fabbrica: marzo 2009. Prima ero ‘il figlio di’. Poi ho dovuto raggiungere, veloce- mente, la maturità imprenditoriale. Con la crisi posso dire che sono diventato veramente un imprenditore, con la ‘i’ maiuscola”.
La grande crisi deflagrata nel 2008 ha preso il proprio abbrivio negli Stati Uniti come una crisi finanziaria.
Con un po’ di ritardo, la crisi arrivò in Italia. Deflagrante.
Continua Marcello: “L’azienda prima lavorava con ordini puntuali dei clienti storici e consolidati. Nel marzo 2009 si bloccarono gli ordini. A fine anno contai i morti: l’azienda perdeva il 60% di fatturato rispetto all’anno precedente. La crisi è stata dirompente, immediata, inaspettata. Un flagello”. Cominciarono i periodi di cassa integrazione. Ma non licenziò nessuno. E per Marcello questo è un comprensibile motivo di fierezza. “È stata durissima. Dal punto di vista personale ho provato una sconfitta amara. Mi sono chiesto più volte dove avevo sbagliato. Quali erano le cause. Se potevo fare qualcosa prima per evitare quella drammatica crisi. Mi sentivo inadeguato agli occhi di mio padre, che aveva creato l’azienda. E io la stavo distruggendo”. Marcello si identificava con il proprio lavoro. Pertanto la crisi economica della propria azienda si tramutò in crisi personale. Il fatto che il padre gli avesse ceduto l’azienda in un’età molto giovane, l’ha spinto a cercare figure imprenditoriali di riferimento. “Mi ha aiutato il mio orgoglio personale, non volevo né potevo arrendermi. Non ci ho mai pensato, anche se per mesi non ho dormito. Non vedevo la luce in fondo al tun- nel. Ma dovevo tenere alta la bandiera. Lo dovevo a mio padre, e a me stesso”.
Si è rimboccato le maniche. È uscito da quel limbo in cui aveva vissuto fino a quel momento. Quasi una posizione di rendita. E ha combattuto. “Ho sempre ritenuto di avere delle capacità che potevano cambiare le cose. Non volevo licenziare nessuno. Tra i miei dipendenti c’erano molti capifamiglia. Non potevo lasciarli a casa. Non mi sarei più potuto guardare allo specchio la mattina se l’avessi fatto”.
Ha riveduto completamente i processi e la politica aziendale. Ha cominciato a puntare nella super specializzazione. Ha finanziato l’azienda con una grossa iniezione di liquidità, a titolo di finanziamento soci. “Questo per rispettare il pagamento dei fornitori. Non ho mai mancato un pagamento, nemmeno nei momenti più difficili. L’onorabilità negli affari è tutto”. Ha investito nelle relazioni. Anche internazionali, che prima non esistevano. “Ho ampliato le mie relazioni, personali e professionali. Pranzi e cene di lavoro tutti i giorni. Ho corso come una trottola. Avevo perso i miei clienti principali, falliti o in concordato preventivo. Dovevo ampliare il parco clienti. E ce l’ho fatta”. I clienti nel giro di cinque anni sono triplicati. Il fatturato nel 2016 è tornato a livello pre crisi e aumenta di anno in anno. L’azienda è stata completamente rivista, svecchiata, con investimenti in beni strumentali importanti. E vende soprattutto all’estero. “Circa il 70 per cento del fatturato. Ma voglio aumentare la quota di mercato estero. In Italia c’è l’usanza di pagare tardi, anche a 180 giorni dalla data della fattura. Inoltre tutti chiedono continuamente sconti, se si è fortunati. Se non si ha fortuna, semplicemente non pagano. E magari contestano. Fanno causa strumentalmente per non pagare. Certo non tutti, ma molti. È diventato purtroppo un costume”. Poi, aggiunge, “Se per caso pagano e poco dopo falliscono, si rischia l’azione revocatoria” (ossia di vedersi chiedere giudizialmente dal curatore del fallimento la restituzione dei denari pagati dall’impresa fallita nel peiodo “sospetto”, quando vi erano già chiari indizi dell’in- solvenza).Una beffa dovere restituire al fallimento i denari presi, soprattutto se quei denari sono dovuti”. Una beffa che Marcello ha dovuto purtroppo subire.
Con l’esplodere della crisi i ritardi e i mancati pagamenti
– oramai endemici in Italia – hanno portato a un’esplosione delle richieste di ottenere un decreto ingiuntivo per poi avviare procedure esecutive sui beni dei debitori. Sono aumentate le cause di opposizione strumentali e, come si suol dire, “defatigatorie”. Sono aumentate le cause di lavoro nel pubblico impiego (che nel 2011 hanno toccato quota 60.127, rispetto a 33.592 del 2009). È aumentato il contenzioso in generale: chi sta male, litiga di più, come rilevato dalle statistiche giudiziarie.
Il futuro, Marcello lo vede perseguendo politiche imprenditoriali alternative all’attività classica. “Un’azienda oggi vive di specializzazione, capitalizzazione, e di relazioni”. Un insegnamento? “Non bisogna mollare, mai arrendersi. Combattere, sempre. Prendere in mano il destino dell’azienda e, in fondo, il proprio. Agire”. Dobbiamo essere come l’edera, che continua ad abbarbicarsi alla roccia malgrado gli ostacoli che trova.

Una frase che mi ha detto Marcello, tra le tante, mi è rimasta impressa. Parlando degli ancoraggi che ha utilizzato, mi ha ricordato i figli, gli amici e lo sport, ma ha sottolineato di aver trovato la forza soprattutto dentro se stesso, a prescindere dagli appigli esterni: “Chi mi ha aiutato veramente? Sono stato Io. Ce l’ho fatta, in fin dei conti, con le mie sole forze, senza l’aiuto di nessuno. Per capovolgere la situazione, e in generale per prendere qualsiasi decisione importante, serve una grande forza interiore, che possiamo trovare soltanto noi e dentro di noi. E, spesso, nel mo- mento della decisione si è da soli”.
Alla fine “si è da soli”, me l’ha ripetuto varie volte: “Quando siamo in crisi, quando il mondo attorno a noi crolla, in fondo, dobbiamo guardare dentro di noi, non fuori. E la nostra vera forza è la nostra volontà”.
Nonostante tutti gli ancoraggi possibili, nel momento della verità siamo come di fronte a uno specchio: non importa chi ci sostiene o a cosa ci aggrappiamo. Siamo noi il vero motore del cambiamento, con la nostra volontà.
Gli ancoraggi ci consentono un appiglio iniziale, per riparti- re e agire dopo il momento di stasi della sofferenza. Ma è necessario avere una presenza forte quando certe situazioni innescano una reazione dalla grande carica emotiva, come quando l’immagine che abbiamo di noi stessi viene minacciata, quando ci ritroviamo ad affrontare una difficoltà che suscita paura, quando le cose si mettono male. Senza la nostra forza interiore gli ancoraggi rischiano di essere mere illusioni, appigli temporanei la cui efficacia è destinata, prima o poi, a esaurirsi. Se uno degli appigli venisse a mancare cosa succederebbe? Ci perderemmo di nuovo? La vera forza dell’essere umano sta proprio nell’interiorizzare le proprie consapevolezze e capacità e non cercarle al di fuori di se stessi. Perché più si continua a cercare appigli esterni, anche dopo la fisiologica e giusta fase di ancoraggio, più si è a rischio di non uscire dal tunnel della crisi. Siamo noi che de-
cidiamo. E nel momento supremo della decisione, siamo soli. È il momento in cui un uomo dimostra il proprio valore.
Perché come diceva Novalis, diventare uomini è un’arte.
La storia di Marcello conferma anche che non è facile essere “figli di”. Ancor più in un momento di crisi economica
epocale. Bisogna dimostrare di essere all’altezza del proprio genitore, che magari ce l’ha fatta in un momento di generale prosperità economica diverso da quello odierno. Il confronto è sempre dietro l’angolo, implacabile. Il fardello per i “figli di” può diventare insopportabile.
Ma c’è un altro aspetto che riguarda le seconde generazioni: oltre al rischio di fallire nella gestione dell’impresa ereditata dal padre (o dalla madre), c’è il rischio, opposto, di vedere il genitore fallire. Di osservare il proprio punto di riferimento, talvolta un vero e proprio mito, cadere e avvitarsi nella spirale della crisi, dapprima economica e poi inevitabilmente personale.
Spirale che ha riflessi sulla famiglia e in particolare sui figli, cui viene a mancare il sostegno, sia economico che psicologico. Figli che soffrono, spesso in silenzio, per non aggravare la situazione dei genitori. Che vedono improvvisamente il proprio status deflagrare, senza averne colpa, perché il declino è dipeso da colpe altrui. Che si sentono spettatori impotenti di fronte alla sofferenza di coloro che amano. Che si trascinano per mol- to tempo, in taluni casi per tutta la vita, questo insopportabile peso, che li condizionerà nelle loro future scelte.
Per chi ha vissuto il fallimento dell’azienda di famiglia e la conseguente crisi economica, per chi passa, nel battito d’ali di una farfalla, da una condizione di agiatezza e privilegio a una di indigenza o comunque ristrettezza, onde evitare che le colpe dei padri ricadano sui figli e ne condizionino per sempre la vita c’è una sola strada, tracciata dall’antica saggezza tibetana: accettare ciò che è, lasciare andare ciò che era ed avere fiducia in ciò che sarà. Impegnandosi, aggiungo, a diventare di più quello che siamo. Perché se non cambiamo quello che siamo, avremo sempre e solo quello che abbiamo.

Marco Greggio, Il Potere della crisi, Linea Edizioni, Padova, 2020

Concordato preventivo

Quanti imprenditori non riescono a ripensare il proprio modello organizzativo, il proprio business e la propria azienda?
Quanti imprenditori di seconda generazione vanno in crisi anche personale perché sono titubanti e non riescono a prendere decisioni efficaci che riguardano l’azienda di famiglia?
Quanti non hanno la forza e la tenacia di Marcello né la visione di lungo periodo per rialzarsi?
Quanti, oltre alla crisi aziendale, devono poi affrontare una crisi personale che coinvolge spesso coniuge e figli?

Come fare quindi quando una crisi aziendale sta esplodendo e la nostra emotività non ci permette di essere lucidi e trovare delle soluzioni nuove e alternative ai problemi che stiamo affrontando?
Le crisi arrivano per tutti e per tutte le aziende, ma non tutti gli imprenditori sono preparati ad affrontarle con lo spirito di Marcello e con l’energia con la quale lui ce l’ha fatta.

Proprio per questo motivo nasce il turnaround management, che è la disciplina che analizza le criticità aziendali e aiuta gli imprenditori a rimettere in sesto la propria attività.

Un turnaround manager è meno coinvolto emotivamente del proprietario dell’impresa ed è in grado di elaborare scenari complessi per aiutare l’imprenditore a rialzarsi da un momento di crisi.

Un esperto in crisi d’impresa, sa come approcciare il problema in maniera tempestiva perché ha visto molte crisi e sa che arrivano per tutte le imprese. Uno specialista anti crisi, sa anche se se si prendono le giuste decisioni, le crisi passano e l’azienda può uscirne più forte e più competitiva nel mercato.

Noi di Entriage risolviamo crisi d’impresa e ci occupiamo di prevenzione; per questo invitiamo gli imprenditori a contattarci per una consulenza riservata quanto più tempestivamente possibile.

La crisi, affrontata nelle fasi iniziali, può risolversi prima e in maniera più efficace.
L’importante è chiedere aiuto in maniera tempestiva a degli specialisti.
Chiedere aiuto non è segno di debolezza ma di grande lungimiranza e tenacia.

Contattateci per una consulenza riservata.

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