- 7 Novembre 2016
- Postato da: Web
- Categoria: News

Risultati di una ricerca nazionale con gli specialisti del Turnaround
Abbiamo svolto una ricerca su 74 professionisti tra commercialisti, avvocati, consulenti aziendali e temporary manager che hanno recentemente partecipato attivamente e direttamente in operazioni di turnaround e risoluzione di crisi, in aziende tra i 10 e 100 milioni di fatturato, principalmente con sede nel nord Italia (*)
I risultati e le conclusioni di questa indagine sono molto istruttivi, e ci consegnano un profilo di estremo interesse circa il ruolo dei professionisti e delle persone di fiducia che abitualmente circondano l’imprenditore, e che hanno dunque delicate responsabilità soprattutto riguardo ai momenti iniziali nei quali una crisi aziendale manda i primi, importanti segnali, quando ancora non si è manifestata in tutta la sua potenziale pericolosità.
Ma andiamo con ordine, e vediamo i punti salienti della ricerca commentando le domande e le risposte più rilevanti.
1-Secondo Lei, con quanto ritardo l’imprenditore si è reso consapevole che sintomi e segnali erano di una crisi da affrontare in modo straordinario?
Innanzitutto, abbiamo chiesto al nostro campione quanto tempo prima si poteva capire che la crisi era effettivamente in atto, prima della sua esplicita manifestazione. Le risposte sono emblematiche: nel 44% dei casi i nostri intervistati dichiarano che l’esistenza della crisi si poteva comprendere un anno prima del suo esplodere, e un altro 44% addirittura due anni prima.
- Nessun ritardo, ha capito in tempo
- Si poteva capire almeno 2 anni prima
- Si poteva capire almeno 1 anno prima
- Si poteva capire almeno 6 mesi prima
Il tema del “ritardo” della diagnosi emerge anche in molte ricerche condotte a livello nazionale ed internazionale e conferma un dato noto: un’azienda non entra in crisi dall’oggi al domani, ma in un lento ed inesorabile processo di sfibramento dei processi e degli asset aziendali.
2-Qual’era il livello della crisi nel momento in cui siete intervenuti?
Purtroppo gli effetti di tale ritardo determinano un livello di crisi percepito dai professionisti coinvolti come “grave” o “molto grave”, o anche “quasi insanabile”.
In altre parole: la crisi aziendale, proprio in ragione del suo essere presa in considerazione e di conseguenza in carico con forte ritardo rispetto ai primi segnali (uno o due anni, appunto) viene poi giudicata come molto difficile o impossibile da risolvere.
Come si vede nel grafico qui riportato, nella scala delle possibili risposte i valori “abbastanza grave” e “leggera” non sono stati contemplati da nessuno dei nostri 74 intervistati.
- Livello della crisi (valore %)
3-Quale esito ha avuto la ristrutturazione?
E qui arriva la nota dolente: nel 30% dei casi il professionista da noi interpellato risponde che l’azienda è fallita o sta per fallire e tale percentuale coincide naturalmente con il profilo di aziende che sono state definite come “insanabili o quasi”
Ma anche le aziende giudicate dal campione statistico come potenzialmente salvabili, o che effettivamente sono state risanate, subiranno o hanno già subito interventi molto invasivi e dolorosi – come procedure di concordato – proprio a causa del ritardo col quale si è intervenuti.
- Sì e la situazione è risolta positivamente
- Sì, ma purtroppo l'azienda è fallita o sta per fallire
- Sì, ma siamo proprio all'inizio
- Sì, ma siamo nel bel mezzo della ristrutturazione
- No
4- Secondo Lei che peso ha dato l’imprenditore ai seguenti ed eventuali segnali premonitori nella crisi aziendale (più risposte possibili)?
Un dato meritevole di riflessione riguarda l’elevato numero di variabili che nella vita di un’azienda rendono difficile l’individuazione precisa dei segni premonitori di una crisi strisciante o in atto.
I molti dati, le tante dimensioni con le quali chi lavora in azienda è quotidianamente abituato a fare i conti, rendono infatti problematica l’identificazione e l’attribuzione del giusto peso ai reali segnali di una crisi imminente.
È cioè difficile, per chi vive dentro l’azienda, distinguere tra le molte variabili in gioco, quelle effettivamente utili a formulare una diagnosi corretta della situazione, e quelle invece secondarie o ininfluenti.
Dalla tabella riportata qui sotto si vede, in modo abbastanza omogeno, che i sintomi che l’imprenditore ha registrato o a cui ha dato importanza possono essere sia tra le variabili economiche (come ricavi e margini in calo), sia patrimoniali (crediti difficili da incassare, debiti difficili da pagare) che finanziarie (oneri finanziari o disponibilità liquide e bancarie).

Gli intervistati suggeriscono anche altri fattori quali:
- I cambi al vertice non adeguatamente pianificati che creano un clima di confusione e incertezza
- Elevata dimensione e complessità aziendale ormai non più sotto controllo
- Costi di produzione alti rispetto alla concorrenza ed assortimento eccessivo nei prodotti.
Quali sono gli elementi che invece hanno portato l’imprenditore ad accettare senza dubbi che c’è una crisi molto grave (valide più risposte)?
L’estrema soggettività d’interpretazione e la mancanza di strumenti diagnostici professionali giocano quindi un ruolo di ostacolo alla precisa individuazione dei reali segnali premonitori e poi delle cause della crisi, almeno per chi lavora e vive dentro gli assetti organizzativi, la cultura e le abitudini dell’impresa.
È questo un dato che pare paradossale: da una parte i sintomi della crisi sono in qualche modo colti dal personale interno (o dai consulenti storici), ma allo stesso tempo, proprio per la loro natura opaca, non con la consapevolezza e la precisione con cui andrebbero e potrebbero venire interpretati da uno sguardo meno condizionato dalle consuete dinamiche aziendali.
E infatti alla domanda su quali siano poi gli elementi che portano l’imprenditore ad accettare finalmente che una reale crisi è in atto nella sua azienda, il nostro campione risponde principalmente su tre ordini di motivi, concreti e incontestabili:
- Restano ancora pochi mesi di liquidità
- La crisi è stata evidenziata da un esterno
- Si rende necessario ricapitalizzare

Siamo dunque in presenza di un quadro piuttosto omogeno sul piano statistico: quasi sempre (per non dire sempre) una crisi è preceduta da un certo numero di segnali premonitori.
Altrettanto spesso, a questi segnali non viene attribuito il giusto peso.
Altre volte i segnali vengono captati ma non sono chiari, vengono quindi sottostimati. Peggio ancora, si temporeggia: si prende tempo, in realtà lo si perde.
Il risultato è che ci si rende conto di una crisi quando le sue dimensioni diventano tali che non è più possibile sottrarsi alla sua evidenza. Si vedono chiaramente gli effetti, non la genesi.
Che fare, dunque?
Anticipando le nostre conclusioni, ci sentiamo di raccomandare fortemente una verifica delle proprie personali e soggettive sensazioni (il “fiuto” dell’imprenditore e di chi lo circonda è sempre prezioso, ma spesso non sufficiente) attraverso un check up, anche agile ma realizzato con strumenti professionali, gestito da professionisti.
Le risposte riportate nella nostra ricerca sui chiari motivi di crisi: “pochi mesi di liquidità” e “c’è da ricapitalizzare” sono dunque dimensioni ben prevedibili con anni di anticipo, senza avere i poteri magici e predittivi di uno sciamano. Ma vanno interpretati e sempre validati utilizzando strumenti scientifici.
Si può insomma capire che una crisi è in atto prima e senza andarci a sbattere contro.
Che rilevanza hanno avuto le seguenti possibili cause nella crisi aziendale?
Riguardo poi alle cause effettive di crisi individuate dal campione della nostra ricerca, emerge uno spettro molto ampio di risposte.
Un commento possibile è che cause ed effetti spesso si confondono, altrettanto di frequente i motivi di crisi vengono, con buona onestà intellettuale, attribuiti a motivi interni (costi elevati delle materie prime o dei servizi, investimenti errati, ecc) anziché all’esterno (crisi generale, concorrenza, ecc.).
Se i motivi sono quindi “interni”, perché non si è arrivati a comprenderli in tempo? La risposta viene dal fatto che molti professionisti evidenziano la mancanza di un controllo di gestione adeguato: in effetti si arriva a certe situazioni critiche anche perché non si ha (più) il controllo della situazione.

Altre cause suggerite dagli intervistati:
- Investimento del cash flow aziendale in operazioni finanziarie non strettamente legate al business
- Si continua a gestire il business come una volta
- Investimenti in valuta sbagliata
- Assenza di procedure univoche
- Politiche commerciali e strategiche elaborate con dati parziali e non completi
- Mix finanziamenti bancari a medio-lungo termine non adeguato
Quali sono state le azioni messe in atto per risolvere la crisi (valide più risposte)?
Riguardo alle azioni messe in atto per la risoluzione della crisi, le linee guida sono molto chiare: sul fronte industriale si procede naturalmente al taglio dei costi organizzativi e alla revisione della strategia commerciale. Ci si sarebbe attesi delle % più alte in quanto riteniamo che la risoluzione della crisi e della cause che hanno portato l’azienda a tali condizioni è da ricercarsi proprio sugli aspetti industriali e sul modello di business: di conseguenza strategia commerciale, produttiva ed organizzativa
Sul fronte finanziario si rinegozia con banche e fornitori, fino all’utilizzo di procedure stra-giudiziali e giudiziali (ex67, 182bis e concordato) nel 48% dei casi.

Quali professionisti sono stati coinvolti dall’imprenditore per risolvere la crisi (ammesse più scelte)?
Nella risoluzione della crisi, l’imprenditore ha necessariamente dovuto coinvolgere, a vario titolo, professionisti esterni. Come si vede dal grafico, questa categoria comprende sia consulenti storici che nuovi, sia specialisti della crisi che consulenti non specializzati.
Viene confermato la necessità e l’opportunità di disporre di multi competenze nella risoluzione di situazioni di Turnaround.

Nel processo di ristrutturazione è cambiata la governance?
Questa domanda era volta a comprendere in che termini la discontinuità aziendale viene attivata. Nel percorso di ristrutturazione aziendale, per quasi il 50% dei casi la governance non è cambiata, mentre si è realizzato un cambiamento – nei casi di crisi molto gravi – quando si è avvertita l’esigenza di una gestione più specialistica e di quella discontinuità che solo figure professionali “esterne” possono garantire.
- No, i consiglieri sono rimasti gli stessi e della stessa famiglia
- Sì, il cda è stato integrato con un soggetto esterno con deleghe specifiche
- Sì, è stato nominato un amministratore unico/delegato esterno
- Sì, è cambiato tutto il cda con soggetti esterni
Se l’imprenditore ha coinvolto specialisti del Turnaround, in che modo ne è venuto a conoscenza?
Nel decidere di coinvolgere professionisti specialisti a supporto della risoluzione della crisi, emerge che il commercialista e l’avvocato di fiducia sono giustamente i principali ispiratori (nel 36% dei casi), anche se non manca il passaparola tra imprenditori.
- da Associazione di categoria
- Dal proprio commercialista o avvocato
- Dalla banca
- Dal passaparola tra imprenditori
- si sono presentati loro direttamente
- Altro
Le conclusioni.
Ed ecco alcune sintetiche considerazioni finali a corredo dei numeri e dei dati riportati nella nostra ricerca, che – ricordiamo – ha coinvolto ben 74 professionisti a vario titolo coinvolti nella gestione di crisi aziendali: commercialisti, avvocati, consulenti aziendali e temporary manager impegnati in operazioni di intervento straordinario (turnaround) su imprese tra i 10 e 100 milioni di fatturato, soprattutto del nord Italia.
- I motivi di una crisi potevano essere colti con molto anticipo rispetto al suo esplicito manifestarsi (uno o anche due anni prima), ma non vengono quasi mai correttamente interpretati, contribuendo così all’aggravarsi della crisi.
- È fondamentale ascoltare attentamente e capire i primi segni di crisi, anche i più contraddittori, quelli che abbiamo chiamato “campanelli d’allarme”, evitando così il duplice rischio di sottostimarli o di fraintenderli (scambiando ad esempio gli effetti per le cause).
- I primi segnali di crisi possono apparire parziali, incoerenti, opachi, contraddittori. Per questo vanno analizzati e decifrati con strumenti tecnici nati e sviluppati proprio per questo: diagnosticare in modo preciso e tempestivo una situazione, a partire da dati complessi e dissonanti.
- La prospettiva di professionisti multi-disciplinari esterni, quando realmente esperti e specializzati, aiutano l’imprenditore e il management dell’azienda a guardare le cose da un punto di vista nuovo. Il consulente esperto in turnaround va percepito per quello che è: un alleato prezioso. Il percorso di uscita dalla crisi viene compiuto sempre “con” l’imprenditore, ma offrendogli risorse e competenze sulle quali il titolare d’azienda e la sua più stretta cerchia di consulenti non possono contare.
(*) La ricerca è stata svolta a Giugno 2016 con somministrazione del questionario con sistemi digitali ed indirizzata a professionisti contattati attraverso il social network professionale Linkedin e nel network TMA Italia (turnaround management association)
Jimmy Clarini – Fondatore di Entriage