- 16 Settembre 2016
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UN INDICATORE TEMUTO PUÒ DIVENTARE AMICO DELL’IMPRENDITORE
Quando iniziai a occuparmi di scoring e rating, queste due parolette non erano ancora diventate i sinonimi di “Pericolo pubblico numero uno” che sarebbero diventate di lì a poco. Erano i primi anni 2000. Si faceva un gran parlare di Basilea 2 ma nessuno era ancora veramente pronto ad affrontare il tema in modo serio e professionale. Il nuovo regolamento diede così l’avvio alla mia carriera, ma quasi la bloccò quando, dal 2008/2009 in poi, al rating veniva imputata – appunto – ogni colpa della crisi che, appena scoppiata, avrebbe dato a breve prova della sua vera forza.
Per colpa del rating le banche non davano più credito, per colpa delle agenzie di rating si era sottostimato il rischio legato ai mutui subprime, per colpa del rating si era acuito il divario tra ricchi e poveri… Mancava solo che si desse la colpa al rating anche del riscaldamento globale.
C’era molto di vero, in questo puntare ossessivamente l’indice. Ma io continuavo a intravedere la grande forza del rating, e nutrivo già da allora il sogno che il rating si guadagnasse il ruolo che merita: essere amico dell’imprenditore.
Alla fine del 2009 fondammo modeFinance con un chiodo fisso nella testa: il rating serve! E non alle banche che sanno valutare (o credono di saperlo fare) il rischio di credito, ma alle aziende stesse, perché quotidianamente fanno da banche ai loro clienti, ma senza essere strutturate per farlo.
(Userò la parola rating ma il più delle volte intenderò scoring. Differenze importanti tra le due ma per lo scopo di questo blog ci possiamo permettere il vizio capitale di confonderle.)
Lo sapevate che se confrontiamo i crediti concessi rispetto ai fidi utilizzati da tutte le società italiane il rapporto è di 10 a 7? Chi fa davvero da banca in Italia?
Ma come il rating possa essere un alleato ancora non è chiaro, vero? Allora rispondete: quando chiedete un prestito in banca, vi controllano o no ai raggi x? E qual è il risultato? Un livello di rischio e un fido concedibile. E allora perché non fare lo stesso per i vostri clienti?
D’altro canto, così come attraverso il rating potete capire un po’ meglio dei vostri clienti, allo stesso tempo la vostra azienda “comunica” un proprio rating e questo è un buon indicatore di partenza. Un criterio prezioso per chi si occupa di situazioni di crisi, come si fa abitualmente in Entriage.
Il rating è un primo, eloquente segnalatore. Ci parla, ci dice delle cose. Non tutte, naturalmente. Ma qual che ci comunica ci aiuta a indirizzare meglio la nostra attenzione, la nostra sensibilità, le nostre analisi ulteriori. Quando diciamo a un’azienda: “Occhio, il tuo rating manda segnali preoccupanti”, intendiamo offrire all’imprenditore un primo aiuto, un contributo iniziale per capire meglio cosa sta succedendo alla e nella sua azienda.
Il rating, spesso, la sa molto più lunga di quanto non si sospetti. Ci fa intuire nodi problematici, ci suggerisce piste di lavoro. Insomma, è un buon alleato. Dell’imprenditore, e di una società di consulenza come Entriage che con l’imprenditore lavora, fianco a fianco, per aiutarlo a sistemare bilanci zoppicanti, a recuperare competitività, a uscire nel modo migliore da una situazione di crisi, potenziale o in atto. Ma bisogna saper leggere e ascoltare bene il rating.
Lo so cosa state pensando: ho passato almeno quindici anni a confrontarmi con i vostri dubbi.
Vediamone alcuni:
L’analisi si basa su dati storici.
Pensate che chi fa il nostro mestiere non lo sappia? Ecco perché sviluppiamo i nostri modelli in modo tale che possano prevedere uno stato di insolvenza con ben 24 o addirittura 36 mesi di anticipo (rispetto alla chiusura del bilancio).
È un indicatore troppo complesso.
Ne siamo sicuri? Facciamo un semplice test, diamo un’occhiata a questa tabella, ai suoi colori:

Non vi pare chiaro perché questa società sia andata recentemente in fallimento? C’è un piccolo, lontano segnale che spiega come l’azienda, nonostante una buona capitalizzazione e ricavi in crescita, ha iniziato ad avere problemi di redditività circa 6 anni prima di fallire. E che sarebbe finita male era evidente già due anni fa. Certo, serve un occhio allenato a capire gli indicatori nascosti nelle pieghe di un bilancio.
I bilanci sono falsi
Mhh, può essere vero in parte. Ma grazie a Dio il bilancio bilancia. L’esperienza ci dice che un’azienda è sana se è equilibrata. Gonfi il magazzino? Noto il disequilibrio. Nascondi perdite capitalizzando costi? Noto il disequilibrio. E via discorrendo. Non si scappa a un’attenta analisi del rating, a meno di avere a che fare con l’Arsenio Lupin dei falsi in bilancio.
Il rating non è consulenza.
E meno male dico io. Il rating è il primo passo; poi serve un’analisi approfondita e poi per i casi patologici si deve andare dal medico.
Buon rating a tutti.
Mattia Ciprian – Presidente e co-fondatore della agenzia di rating modeFinance